11 Agosto 2019
XIX Domenica Tempo Ordinario
Commento a cura di fra Marcello Buscemi ofm
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
[ Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». ]
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».
“Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni”. Gesù parte da un caso concreto: la spartizione di un’eredità, da sempre causa di litigi, malumori e persino odio. E va subito alla radice del male: la cupidigia di voler avere sempre di più. Di più: getta uno sguardo sulla ricchezza in generale. Essa non va né demonizzata né esaltata: può essere un mezzo “per arricchirsi dinanzi a Dio” venendo in aiuto ai bisogni degli indigenti e un “tesaurizzare” per il Regno di Dio. Comunque, il Vangelo di Luca contiene parole estremamente dure verso i ricchi e la ricchezza. Le quattro beatitudini dei poveri sono seguite da quattro “guai” molto minacciosi, che mettono sotto accusa non la ricchezza in se stessa, ma i “ricchi” (Lc 6,17-26) che hanno fatto della ricchezza un “mammona di iniquità” (Lc 16,13), un idolo a cui hanno sacrificato l’amore a Dio e ai fratelli. Ha fatto dimenticare loro che l’uomo non ha una dimora stabile in questa vita, ma che la sua esistenza è orientata al Regno di Dio. Per questo i “ricchi” sono paragonati ad un campo che riceve il seme tra le spine, cioè tra le sollecitudini del mondo, le seduzioni delle ricchezze e le cupidigie di ogni genere, che penetrando in essi, soffocano la parola, che rimane senza frutto” (Lc 8,14). Per questo il cristiano è invitato a “guardarsi da ogni cupidigia, perché la vita dell’uomo non dipende dai suoi beni” (Lc 12,15), a “non accumulare tesori sulla terra”, ma tesori nel cielo ed avere il suo cuore in quello scrigno prezioso che è il Regno di Dio (Lc 12,33-34), a porre la sua fiducia nella provvidenza infinita di Dio, che nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo e dà il suo Regno a chiunque glielo chiede (Lc 12,22-31). Tutto ciò apre uno spiraglio per un uso positivo della ricchezza, per “arricchirsi dinanzi a Dio” (Lc 12,21). Si chiede al ricco una decisione coraggiosa di spogliarsi di alcuni suoi beni in favore dei poveri e assicurarsi la felicità eterna. Lo si ritrova già nella predicazione di Giovanni Battista, che predica alla folla la “sedaqa = elemosina” come segno di autentica conversione a Dio: “Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto” (Lc 3,11). Ma anche la predicazione di Gesù è sulla stessa linea: “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i vicini ricchi..., ma invita poveri, storpi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da contraccambiarti: riceverai la tua ricompensa alla resurrezione dei giusti” (Lc 14,12-14). Zaccheo, una volta convertito, dichiara: “Ecco, Signore, la metà dei miei beni la do ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco il quadruplo” (Lc 19.8). La comunità primitiva viveva su questa decisione e per questo sviluppa la dottrina della condivisione dei beni e soprattutto dell’elemosina. Già per ogni israelita c’era (cfr Es 22,21-25; 23,10; Lv 19,9-10; 25,3-7.35-37; Dt 14,28-29; 15,1-18), e c’è ancora oggi, l’obbligo di soccorrere i poveri della propria comunità. La novità di Gesù è che non pone limiti nell'aiutare i poveri: la carità non ha barriere di razza o di casta. La parabola del buon Samaritano è sintomatica: il suo gesto di condivisione l’ha reso “prossimo” a chi aveva bisogno del suo aiuto (Lc 10,25-37). L’insegnamento di Gesù non consiste tanto nello spogliarsi dai propri beni, quanto nel far servire i propri averi a favore dei poveri, in maniera che tra i discepoli di Gesù non vi siano ricchi che sperperano e poveri che muoiono di fame. Attraverso la spogliazione dei beni e la condivisione, il discepolo diviene come Gesù, servitori dei fratelli (Lc 22,24-27). Ciò prepara il Regno di Dio: “Cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3,1-2). Ma “evangelizzare i poveri oggi” non significa ripetere necessariamente gli stessi gesti o rispolverare le esperienze del passato: ciò che era valido ai primi tempi della Chiesa, può essere che non lo sia più nel nostro tempo. Il programma di Gesù non è né una tecnica di avanzamento sociale né una teoria socio-politica di promozione umana, ma impegno di vita a favore dei poveri e di ogni persona che in un modo e in un altro ha bisogno di aiuto. Ciò che importa è divenire sulla scia di Gesù segno evangelico credibile per tutti i poveri, oppressi ed emarginati del nostro tempo con gesti concreti di aiuto fraterno. Il comando di Gesù non è affidato a delle formule fisse, ma allo Spirito e agli eventi che di volta in volta fanno prendere nuove decisioni ai discepoli. “Evangelizzare i poveri” significa sempre porre in atto tutti quei gesti di liberazione dal male e dalla miseria, dall’infermità e dalla paura, in modo da far avanzare il Regno di Dio secondo l’amore e lo stile proprio di Gesù.