Commento a cura di fra Marcello Buscemi ofm
“Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza” (Lc 16,1-13). Povertà e ricchezza, ricchi e poveri: non è la prima volta che Gesù ci invita a riflettere su queste realtà concrete del nostro vivere sociale. Anzi, su di esse ha certamente una posizione netta: Gesù è l’inviato di Dio “per annunciare la buona notizia ai poveri, ai bisognosi, ai sofferenti e a tutti coloro che con umiltà si aprono alla misericordia di Dio e celebrano con lui ”l’anno di grazia” (Lc 4,18-19). In base a ciò, la parabola dell’amministratore disonesto” ci invita a fare una scelta netta: “Non potete servire Dio e la ricchezza”. Già il Siracide saggiamente ci avverte che “niente è più empio dell’uomo che ama il denaro, poiché egli si vende anche l’anima. Per amore del denaro molti peccano, chi cerca di arricchire volta lo sguardo. Chi ama l’oro non sarà esente da colpa, chi insegue il denaro ne sarà fuorviato” (Sir 10,8; 27,1; 31,5). La ricchezza è un pericolo: “L’avidità del denaro è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti” (1Tm 6,10).
Ma la motivazione più profonda per il cristiano è quella di seguire Gesù e fare la stessa scelta di Gesù: “Conoscete la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2Cor 8,9). Tale scelta è la via giusta che il credente di seguire in vista di ereditare il Regno di Dio: povertà e ricchezza vanno vissute alla luce di quel tesoro che vogliamo ereditare, di quell’amore che ci lega a Gesù. La povertà senza amore a Dio e al prossimo è vanità da filosofi cinici, che nella loro miseria disprezzavano il prossimo e si vantavano della loro autarchia, del bastare a se stessi. La ricchezza senza amore chiude il cuore alla condivisione dei beni e la sua fede non è più riposta in Dio, ma nella ricchezza: “Se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità” (1Gv 3,17-18).
Il problema non è né la povertà né la ricchezza, ma il nostro orientamento di vita: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore” (Lc 12,32-34). La parabola, che abbiamo ascoltato, è un avvertimento del Signore, che deve renderci accorti nel nostro cammino di fede: non poniamo la nostra fiducia nelle ricchezze di questo mondo, ma in quel “tesoro dei cieli” che erediteremo se siamo stati fedeli nel poco. Non diventiamo avidi di ricchezze di questo mondo: di esse dobbiamo rendere conto dinanzi a Dio, se le abbiamo usate per fare del bene o fare del male: “Ai ricchi in questo mondo ordina di non essere orgogliosi, di non porre la speranza nell’instabilità delle ricchezze, ma in Dio, che tutto ci dà con abbondanza perché possiamo goderne. Facciano del bene, si arricchiscano di opere buone, siano pronti a dare e a condividere: così si metteranno da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera” (1Tm 6,17-19).