Commento a cura di fra Marcello Buscemi ofm
“Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo” (Lc 15,1-32). Tre parabole, un unico messaggio: Dio in Gesù ha chiamato tutti gli uomini a conversione per poter ereditare il Regno di Dio e gioisce immensamente quando un peccatore si converte e si lascia riportare a lui, al suo amore (Lc 15,7) e quando un “figlio ritorna alla casa del Padre” (Lc 15,24.32). È il “Vangelo della misericordia”: “Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 12,7). Dio, infatti, non è venuto per condannare il mondo, ma per salvarlo: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,17). Egli è il “pastore buono”, che non abbandona il suo gregge, ma lo cura e custodisce: “Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia” (Ez 34,16).
Di più: “Il buon pastore dà la propria vita per le pecore” (Gv 10,11). Per Gesù, noi siamo più che una “moneta preziosa” da cercare, siamo gli eredi di quell’eredità, “che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rivelata nell’ultimo tempo” (1Pt 1,4-5). Con Gesù noi siamo ricolmi di gioia anche nella sofferenza: “esultiamo di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungiamo la mèta della nostra fede: la salvezza delle anime” (1Pt 1,8-9. Mediante la fede, siamo divenuti figli del Padre celeste, un po’ particolari, ma da lui immensamente amati: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Per questo, la parabola del “Padre misericordioso” ci interpella profondamente: a volte agiamo da “figliol prodigo”: amanti della libertà fino a scambiarla con il libertinaggio e l’arbitrarietà; a volte da “figlio maggiore”: brontoloni perché non riceviamo questa o quell’altra grazia, pronti a puntare il dito contro di lui perché vorremmo che egli facesse la nostra volontà.
In ogni caso, sempre bisognosi della sua misericordia, che egli ci elargisce con tanta premura: “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati” (Ef 2,4-5). L’unica cosa che ci chiede è il ritorno a lui: “Lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2Cor 5,20-21). Egli ci guarda con pazienza e ci ammonisce: “Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare.
Ma il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo” (Os 11,4.7). Dio è nostro Padre, che ci ama senza misura: ci riabilita come figli nel battesimo e nella confessione, da schiavi ci rende liberi e padroni di pensare e operare nella verità e nell’amore. Afferrati dall’amore misericordioso del Padre e purificati dal sangue di Cristo, “offriamo i nostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il nostro culto spirituale. Non conformiamoci a questo mondo, ma lasciamoci trasformare rinnovando il nostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rom 12,1-2).