Commento a cura di fra Marcello Buscemi ofm
“Un tale gli chiese: Signore, sono pochi quelli che si salvano?” (Lc 13,22-30). La domanda di questo tale è al limite della curiosità, alimentata dalla disputa rabbinica di chi sosteneva che “tutto Israele avrebbe partecipato al mondo futuro” e di altri che sostenevano che solo pochi vi avrebbero avuto parte, quelli che avevano acquistato molti meriti dinanzi a Dio. Anche molti cristiani hanno questa mentalità: non agiscono per amore, ma per guadagnare meriti dinanzi a Dio e avere la vita eterna. Più precisa, a tale proposito, è la domanda di quel “notabile” che chiese: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” (Lc 18,18). Entrambe le domande puntano all’essenziale ed esigono una risposta chiara: la fedeltà a Dio e ai suoi comandamenti, sia che ci sentiamo a posto o che siamo nel tormento della ricerca del nostro benessere spirituale. La risposta di Gesù, in entrambi i casi, punta a responsabilizzare colui che ha posto la domanda e soprattutto a liberarlo da certe sovrastrutture personali che gonfiono la persona umana e la rendono inadatta al Regno dei cieli: talmente gonfi di se stessi da non poter passare per “la porta stretta” della salvezza. Di più: cerca di liberarci da quella rigidità farisaica che escludeva per principio legalistico chi non è osservante dei precetti della legge mosaica. In verità, per Gesù la domanda stessa è inutile, perché dettata più dalla curiosità che non dal vivo desiderio di aver parte al Regno di Dio.
La fede non è un’opera da compiere, opere ascetiche da praticare o lunghe preghiere da recitare, ma un affidarsi totalmente a Dio, sperare nella sua misericordia infinita, amare lui con tutto il cuore e con tutta l’anima e con tutte le forze (Lc 10,27) e amarci a vicenda come Gesù ci ha amato (Gv 13,34). Attenzione: non siamo noi che ci salviamo con i nostri sacrifici e buone opere, perché la salvezza “non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell’uomo, ma da Dio che ha misericordia” (Rom 9,16). “La porta stretta” è “la fede agente mediante la carità” (Gal 5,6), che ci permette di lottare contro il male, ci fa accettare le difficoltà della vita secondo la volontà salvifica di Dio e di edificare noi stessi e il prossimo nel bene.
È la porta della conversione, che apre il cuore all’annuncio del Vangelo (Mc 1,15), ci permette di seguire Gesù per la via che conduce alla vita (Lc 9,22-25) e ci dispone alla docilità allo Spirito, perché “ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna” (Gal 6,7-8). E lo Spirito non solo produce l’amore nel nostro cuore, ma ci insegna anche la via di Gesù e ci fa vivere in comunione con Gesù. Ciò è fondamentale, perché non basta andare in chiesa, per essere riconosciuti da Gesù; non basta farsi la comunione o leggere il Vangelo ogni giorno: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. L’unica cosa necessaria per essere riconosciuti da Gesù è essere in comunione con lui e agire con lui, in lui e per lui: “Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato” (1Gv 2,6).
Di più: “Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri” (Rom 13,14). E ancora: “Rivestitevi, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi a vicenda, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Al di sopra di tutto vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione” (Col 3,12-14). Non c’è altra via per la salvezza: “vivere nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20) e lasciarsi guidare dallo Spirito di Dio, che produce nei nostri cuori il «frutto dell’amore, che è gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22-23).