Commento a cura di fra Marcello Buscemi ofm
“Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada” (Lc 10,1-12.17-20). Non sono solo i Dodici apostoli, che debbono annunciare il Regno di Dio, ma tutti i discepoli sono inviati dal Signore Gesù ad annunciare: “È vicino a voi il Regno di Dio” (Lc 10,9). Tutti i discepoli (il 72 è numero simbolico, per indicare la missione universale della Chiesa a favore di tutti i popoli della terra) dobbiamo annunciare con la parola e la vita che Gesù è venuto a portare la salvezza e pregare incessantemente che “il Padrone della messe mandi operai nella sua messe”, perché “la messe è abbondante, ma sono pochi gli operai” (Lc 10,2). “Andate”: i discepoli di Gesù non debbono rimanere chiusi nel recinto delle chiese, ma sono “missionari per le strade del mondo”, perché quelle strade divengano “strade per Dio”. “Essere discepolo, scrive Papa Francesco, significa avere la disposizione permanente di portare agli altri l’amore di Gesù e questo avviene spontaneamente in qualsiasi luogo, nella via, nella piazza, al lavoro, in una strada.
In questa predicazione, sempre rispettosa e gentile, il primo momento consiste in un dialogo personale, in cui l’altra persona si esprime e condivide le sue gioie, le sue speranze, le preoccupazioni per i suoi cari e tante cose che riempiono il suo cuore” (Evangelii Gaudium 127-128). Usciamo, dunque, usciamo ad offrire a tutti il Regno di Dio nel nome di Gesù. La preoccupazione del credente che si affida totalmente a Dio deve essere concentrata nell’essenziale: la venuta del Regno è l’opzione fondamentale della vita del discepolo e verso di essa deve essere orientata tutta la sua esistenza senza inquietudini e paure. “Vi mando come agnelli in mezzo a lupi”, ricordandoci sempre che il Signore è sempre con noi e portiamo con lui la Croce di salvezza: “In ogni cosa si presentino come discepoli di Gesù, con molta fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; con purezza, sapienza, pazienza, benevolenza, spirito di santità, amore sincero; con parole di verità e di giustizia, con la potenza di Dio” (2Cor 6,4-7). Ascoltiamo sempre l’invito di Gesù: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23).
“Non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.”: i discepoli di Gesù debbono essere liberi e agili, non appesantiti da nessun segno di ricchezza o di potere e non distratti da saluti lunghi e formali. Se c’è un saluto da dare è quello di Gesù: “La pace sia con voi” o quello simile di Francesco d’Assisi: “Pace e bene”. Ma il nostro saluto sia una testimonianza di pace, secondo la beatitudine di Gesù: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9) e l’esortazione di Paolo: “La pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo” (Col 3,15), cioè per edificare la Chiesa di Dio nella pace. Siamo testimoni di pace, perché “il regno di Dio è pace e gioia nello Spirito Santo: diamoci dunque alle opere della pace e alla edificazione vicendevole” (Rom 14,17-19).
E lo siamo per tutti, credenti e non credenti: “Vivete in pace, attendete alle cose vostre e lavorate con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato, al fine di condurre una vita decorosa di fronte agli estranei e di non aver bisogno di nessuno” (1Tes 4,12). Il credente deve avere un comportamento sapiente verso «quelli di fuori» che si avvicinano a lui, anche se non appartengono al proprio gruppo socio-religioso. Ad essi bisogna offrire buona testimonianza e annunciare il «mistero di Cristo», il Vangelo, potenza di Dio che vuole tutti salvi e che “Gesù è la nostra pace” (Ef 2,14).