Commento a cura di fra Marcello Buscemi ofm
Dal vangelo secondo Giovanni
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
“Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui” (Lc 2,22-40). Un piccolo “sommario”, che con pochi tratti sulla persona di Gesù ci invita ad entrare nel mistero della sua vita e nel progresso del suo sviluppo umano, spirituale e relazionale con il progetto di Dio. Gesù “cresceva e si fortificava” alla stessa maniera di Giovanni Battista (Lc 1,80): era un bambino normale; seguiva l’ordine della natura, che si sviluppa in progressione fino alla maturità personale. “Cresceva” nel fisico, ancor più “si fortificava” nello spirito, per comprendere se stesso, il suo mistero personale, la sua missione secondo il disegno che il Padre aveva su di lui: “Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (Eb 5,8-9). Consapevolmente, il giusto Simeone profetizzò dicendo: “Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,34-35). La sua maturazione, come per ogni bambino, avvenne all’interno della sua famiglia: egli cresceva con l’aiuto di Maria e di Giuseppe. Cresceva anche nella fede dei suoi padri, nella consapevolezza di essere la vera discendenza di Abramo: “E appunto ad Abramo e alla sua discendenza che furono fatte le promesse. Non dice la Scrittura: «E ai discendenti», come se si trattasse di molti, ma: E alla tua discendenza, come a uno solo, cioè Cristo” (Gal 3,16). Cresceva nella comprensione della sua missione di essere il discendente messianico, che tutti attendevano come liberatore del popolo di Dio: “Benedetto il Signore, Dio d’Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo, e ha suscitato per noi un Salvatore potente nella casa di Davide, suo servo”. Lo comprese il vecchio Simeone, che mosso dallo Spirito, esultò dicendo: “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele” (Lc 2,29-32).
Ecco il modello della famiglia cristiana: una realtà di vita, fondata sulla fede nel Dio dei padri, sulla fedeltà reciproca carica di rispetto e di comprensione, sull’amore che si esprime con “sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandoci a vicenda e perdonandoci gli uni gli altri” (Col 3,12-13). La fede: come scoperta quotidiana della volontà di Dio e del suo disegno su ciascun membro della famiglia. Adesione al suo progetto di santità, coltivando il senso profondo dell’unità: nella famiglia, “non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre; se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui; voi siete corpo di Cristo” (1Cor 12,25-27). Sottomendoci gli uni gli altri con umiltà: “Non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato” (Rom 12,3) Di più: “Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non nutrite desideri di grandezza; volgetevi piuttosto a ciò che è umile; non stimatevi sapienti da voi stessi” (Rom 12,16). Per questo, Paolo a proposito della famiglia ha scritto: “Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” (Ef 5,21). L’umiltà è radice profonda della carità misericordiosa: “La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1Cor 13,4-7). Se c’è umiltà e amore, allora sarà possibile quanto è scritto: “Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore. Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza. Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino” (Col 3,18-21). Queste belle realtà della vita familiare cristiana si mantengono, se i membri della famiglia sanno pregare insieme e sanno leggere la volontà di Dio nella parola di Dio: “Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è utile per insegnare, convincere, correggere, educare nella giustizia, perché il credente in Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2Tm 3,16-17). In questo, imitiamo Maria, ponendo la Parola di Dio al centro del nostro vivere in famiglia: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19; 2,51).