Commento a cura di fra Marcello Buscemi ofm
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».
“Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo”. I capitoli 24-25 del Vangelo di Matteo sono il suo “discorso escatologico”, che pone in rilievo alcuni punti essenziali del nostro comportamento nell’attesa del ritorno di Cristo e del nostro andare incontro al Signore che viene. Il filo conduttore sta nell’invito di Gesù: “Vegliate, perché non sapete né il giorno né l’ora” (Mt 25,13). Per far comprendere l’urgenza della “vigilanza”, Matteo pone in successione due serie di parabole: le prime tre vogliono mettere in evidenza la certezza della fine e quindi richiedono di essere pronti a questo evento: Mt 24,32-33: la parabola del fico; Mt 24,37-42: il diluvio universale; Mt 24,43-44: il padrone vigilante; la seconda serie svolge il tema del ritardo della Parusia e quindi l’atteggiamento di vigilanza che ognuno deve assumere: Mt 24,45-51: il servo saggio e operoso; Mt 25,1-13: le dieci vergini; Mt 25,14-30: la parabola dei talenti. Il tutto può essere sintetizzato con le parole di S. Paolo: “Siate consapevoli del momento: ormai è tempo di svegliarvi dal sonno, fratelli, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quanto diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce” (Rom 13,11-12). Tale consapevolezza è espressa nella “parabola delle dieci vergini” attraverso l’immagine delle “lampade accese”. Non c’è bisogno di trovare una spiegazione a tutti i dettagli della parabola: è compito degli esegeti; per noi è importante il messaggio che Gesù ci offre per la nostra salvezza. L’incontro con Gesù, “lo sposo che tarda”, ci spinge alla responsabilità saggia, che si attua nel discernimento: “Sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro; voi siete tutti figli della luce e figli del giorno” (1Tes 5,2.4). Il nostro comportamento non può essere quello di coloro che vivono in un’attesa impaziente che li estranea dalle proprie “responsabilità nel mondo” fino all’evasione dall’impegno di “edificare il mondo nell’amore”. Non può essere neppure quello di chi si immerge nell’impegno sociale fino a dimenticare l’attesa dello Sposo: “i credenti sono nel mondo, ma non sono del mondo” (Gv 17,14); e ancora l’avvertimento di S. Paolo ai Tessalonicesi: “Dio ci ha destinati alla salvezza mediante il Signore Gesù Cristo, il quale è morto per noi, perché sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui” (1Tes 5,9-10). E neanche quello di chi si adagia in un’accidia mortale, come quella di “chi non fa frutticare i propri talenti”, accidia intrisa di disimpegno nella fede e di agnosticismo irresponsabile che emargina Dio e le sue promesse escatologiche fino al punto di chiudersi nel proprio egoismo senza limiti e nelle proprie paure esistenziali.
A motivo di ciò, gli elementi essenziali della “parabola delle dieci vergini” sono: le vergini sagge e quelle insipienti, le lampade accese, l’olio che alimenta le lampade nel ritardo dello Sposo, l’arrivo dello Sposo, la porta chiusa. Le lampade e l’olio: le due immagini sono fuse insieme: indicano una vita di fede operosa e disponibile. La lampada è la vita stessa degli uomini che nella fede si tengono pronti a ricevere il Regno di Dio; la loro vita di fede è alimentata poi dall’olio delle buone opere che rende “la fede agente mediante la carità” (Gal 5,6). Le “vergini sagge”: sono coloro che vanno incontro allo sposo con la lampada accesa e l’olio che l’alimenta; sono sagge, perché “non si sono conformate al mondo, ma si sono lasciate trasformare rinnovando il loro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rom 12,2); hanno creduto e agito nell’amore. Rifornirsi dell’olio: è elemento essenziale della parabola che qualifica le “vergini” e le differenzia; chi è saggio pensa a tempo opportuno a rifornirsi di “buone opere”; chi è stolto attende l’ultimo momento, ma rischia di arrivare troppo tardi e di rimanere per sempre escluso dal convito celeste e quindi dalla salvezza. Il ritardo dello sposo e la porta chiusa: è il tempo di attesa e di responsabilità; chi, in questo tempo, rimane costante ed operoso nella fede risulterà pronto ad incontrarsi con Cristo e degno di partecipare al suo banchetto nuziale, cioè alla salvezza; a coloro, invece, che, a causa del ritardo dello sposo, hanno illanguidito il loro amore, la sola fede – il gridare: Signore, Signore! – non basterà, perché l’occasione per incontrarsi con Cristo è l’amore che vivifica la fede e la vita di fede. Solo l’amore è il distintivo per essere riconosciuti da Cristo (Gv 13,35) e da lui essere ammessi al banchetto di salvezza: “Beati gli invitati alle nozze dell’Agnello” (Ap 19,9).