24 Novembre 2019
Cristo Re dell'Universo - Anno C
Commento a cura di fra Marcello Buscemi ofm
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell'aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c'era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L'altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio. tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
“I capi lo schernivano dicendo: “Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto”. Gesù è sulla Croce, attorno a sé vi sono molte persone: i capi lo deridono, certi che la pretesa messianica di Gesù era falsa; i soldati lo deridono, gli offrono aceto e lo invitano, se ne è capace, a scendere dalla Croce e salvarsi; c’è il popolo, che sta a guardare, ma pur avendo ricevuto molti miracoli e parole di saggezza, non prende decisione a sua favore. Gesù non risponde, resta sulla croce. Lì, sulla croce, è il suo posto se vuole portare la salvezza. L’aveva detto chiaramente ai suoi discepoli: “Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà” (Lc 9,24; 17,33). E di sé aveva detto: “Il Figlio dell’uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno” (Lc 9,22). Anche il detto di Lc 13,33, proprio della redazione lucana, afferma che Gesù deve continuare il suo cammino verso Gerusalemme, “perché non è possibile che un profeta muioia fuori della città santa”, in cui si debbono compiere i disegni salvifici di Dio. La sua via, in base a Lc 22,37, è simile a quella del Servo di Jahvé: “Perché vi dico si deve compiere in me questa Scrittura: ‘Anche tra i malfattori è stato computato’; infatti, tutto quello che mi riguarda è giunto al suo termine”. Tutta l’esistenza di Gesù è stata un’adesione totale, radicale e obbediente al piano di Dio. Gesù ha percorso questo cammino fino alla donazione piena di se stesso sulla croce, perché doveva compiersi in lui tutto ciò che era scritto di lui nella legge, nei salmi e nei profeti e così entrare nella gloria e rendere i suoi discepoli partecipi della salvezza e testimoni di essa in tutto il mondo. Gesù regna dalla Croce, compiendo la volontà salvifica del Padre. E la sua morte assume valore salvifico ed esemplare. Così, la morte di Gesù è un martirio che dischiude all’uomo la salvezza, un’auto-donazione per la salvezza degli altri. Lo affermò lui stesso: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”. Il contesto è quello dell’“ultima cena” e le parole di Gesù sono le parole della solidarietà familiare: il fratello che si dà in riscatto del fratello. Niente idee di “sostituzione”, di “espiazione” o di “sacrificio”. L’idea dominante è quella molto cara anche a Paolo e al suo discepolo Luca, che l’hanno ereditato dalla concezione veterotestamen-taria del “go’el familiare”. Cristo si è fatto solidale con i suoi fratelli e per essi ha sacrificato il suo corpo, ha versato il suo sangue. Ha accettato la lotta contro Satana e nella sua morte per amore nostro l’ha sconfitto definitivamente e ci ha aperto la via della vita. Gesù regna e invita i suoi discepoli a seguire il suo esempio: la sua morte ha valore esemplare per tutti coloro che si uniscono a lui e con lui compiono la volontà di Dio, il progetto salvifico di amore. Accettando la passione e la morte, Gesù ha percorso per primo la strada della salvezza, quella strada che i discepoli debbono percorrere se intendono essere partecipi della salvezza ed entrare con lui nella gloria. Per essere discepolo non basta compiere un gesto straordinario di fedeltà e di donazione amorosa, ma occorre impostare tutta la propria vita sul modello di quella di Gesù. Gesù precede lungo la via che sale a Gerusalemme e il discepolo gli deve andare dietro condividendo con il proprio Signore passione, morte, resurrezione e glorificazione. Luca insiste in questa parenesi: i discepoli seguono Gesù al Getsemani (Lc 22,39) e la lotta di Gesù contro Satana nella vigilanza e nella preghiera diviene paradigmatica della lotta che il cristiano deve continuamente affrontare nel corso della sua esistenza per compiere la volontà del Padre. Nella vita, la lotta può divenire terribile e le persecuzioni possono sconcertare l’animo del discepolo, ma non vincerlo se egli ha presente la passione di Gesù. Il tradimento dell’amico che con un bacio tradisce il suo Maestro, la condanna ingiusta che porta Gesù al supplizio della Croce, il rinnegamento di Pietro, gli oltraggi dei magistrati, dei sommi sacerdoti e degli scribi sono anch’essi un paradigma che deve sostenere la fede del discepolo provato da mille prove simili. Da “buon Cireneo” porterà ogni giorno la propria croce con Gesù e che deve trovare sempre la forza di affidare la propria esistenza nelle mani di Dio (Lc 23,46) e saper perdonare ai propri persecutori (23.34). Così, Gesù è Salvatore e nostro Re di amore perché “è morto per noi”, ma soprattutto perché ci tira dietro di sè e ci rende partecipi della sua esperienza di morte e resurrezione. Seguire Gesù è lasciarsi attirare nella fede dalla sua causa, divenendo membri vivi di una comunità di salvati che hanno in lui la loro origine e il loro modello.