13 Ottobre 2019
XXVIII Domenica Tempo Ordinario
Commento a cura di fra Marcello Buscemi ofm
Dal vangelo secondo Luca
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
“Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo”. “Ringraziare”: purtroppo non è un sentimento innato nell’uomo, tanto che bisogna insegnarlo ai bambini. È veramente sorprendente come molte persone, ricevendo dei favori anche importanti, sono riconoscenti solo a parole, ma non dal profondo del loro cuore. E ciò non avviene solo tra ni uomini, ma anche con Dio. Così, è avvenuto che Gesù, nonostante i tanti miracoli e prodigi compiuti a favore degli uomini in vista della loro salvezza, provò l’amarezza dell’ingratitudine. S. Paolo, in Rom 1,20-21, accusa i pagani di due gravi peccati: pur avendo conosciuto Dio e le meraviglie della sua creazione, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie. “Alzarono la voce i dieci lebbrosi”: nel momento del bisogno, tutti alziamo il nostro grido di aiuto e a volte promettiamo anche di essere riconoscenti fino al punto di obbligarci con qualche voto, pur di riavere la salute o essere liberati da qualche pericolo. È il momento della preghiera intensa: “Gesù maestro, abbi pietà di noi!”, dell’adempimento più scrupoloso delle nostre pratiche religiose, cerchiamo di ingraziarci Dio. Pur di ricevere ciò che desideriamo, diveniamo devoti, scrupolosi nell’adempimento dei nostri doveri: “andiamo a presentarci ai sacerdoti”, sperando di stabilire un legame speciale con Dio per meritarci la grazia o i miracoli. È più il dono che ci interessa che il donatore. Tutto ciò non sembra gradito a Gesù: “Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono?”. Erano dieci i lebbrosi, tutti sono guariti, tutti sono andati dai sacerdoti secondo le norme della Legge sinaitica, ma uno solo ritorna da lui a rendergli grazie. E questi è persino, un Samaritano, un eretico, disprezzato dai benpensanti religiosi del suo tempo. C’è da riflettere: non si può ringraziare, se “non torniamo indietro”, se non ci «convertiamo» e ristabiliamo il nostro dialogo con Dio, se non sentiamo il nostro rapporto di amore con il Signore, se non sentiamo in noi la bellezza della gratuità con cui Gesù ci usa misericordia e perdono. “E si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo”. Bisogna ritornare a Gesù per aprirci alla grazia e professare con la bocca e il cuore la nostra gratitudine: “Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo” (Rom 10,9). Bisogna ritornare a Gesù per divenire veri adoratori di Dio nel tempio del nostro cuore, «tempio dello Spirito di Dio» (1Cor 6,19) e istruiti da lui ad essere grati, lodiamo con lui Dio: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli” (Lc 10,21). Allora, tutta la nostra vita diviene un inno di ringraziamento a Dio: “La pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti! … E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre” (Col 3,15-17). “Siate riconoscenti”: il testo greco dice letteralmente “siate eucaristici”. L’Eucaristia è il centro della nostra vita cristiana e la nostra esistenza cristiana deve divenire una perenne eucaristia vivente, un perenne rendimento di grazie al Dio della grazia e della misericordia.