29 Settembre 2019
XXVI Domenica Tempo Ordinario
Commento a cura di fra Marcello Buscemi ofm
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
“Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti”. Continua la catechesi di Luca sulle ricchezze: la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro ci offre una riflessione sulla ricchezza in chiave escatologica. In tale prospettiva, le parole di Abramo non sono un’approvazione della “legge del contrappasso” (cfr l’impostazione di Dante nella Divina Commedia), ma un invito esistenziale a riflettere sulle conseguenze del nostro uso della nostra vita in generale e della ricchezza in particolare. La vita è breve: muore Lazzaro con la sua povertà e nessuno si ricorda di lui, muore il ricco e «viene sepolto», forse anche con grande pompa funebre, un ulteriore inutile spreco dei ricchi e dei potenti di questo mondo. Ma la morte livella tutti senza pietà. Ma non tutto finisce qui: per chi crede la vita continua. Anche il ricco, nei tormenti, si ricorda di Abramo, padre della fede, e della “Legge e dei profeti” che lui non ha preso per nulla in considerazione, e si ricorda che al di là di questa vita “c’è la risurrezione”, proclamata dai farisei e da altri gruppi del giudaismo. Non tutto finisce qui: saggio è chi vive nella prospettiva della propria comunione con Dio e con i fratelli. Basterebbe ascoltare le parole di Sir 5,1-7: “Non confidare nelle tue ricchezze e non dire: “Questo mi basta”. Non seguire il tuo istinto e la tua forza, assecondando le passioni del tuo cuore. … Non dire: “La sua misericordia è grande; mi perdonerà i molti peccati”, perché presso di lui ci sono misericordia e ira, il suo sdegno si riverserà sui peccatori. Non aspettare a convertirti al Signore e non rimandare di giorno in giorno, poiché improvvisa scoppierà l’ira del Signore e al tempo del castigo sarai annientato”. Il peccato del ricco epulone non sta nel fatto di godersi le sue ricchezze e del suo sfarzo, ma nell’indifferenza. Verso Dio, che ci ha dato come principio fondamentale la legge dell’amore: “Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti dò, ti stiano fissi nel cuore”. E verso il prossimo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lev 19,18). Di più: “Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall’indigente” (Sir 4,14). Come suona realistico il messaggio di Amos contro costoro che hanno fatto dell’indifferenza il loro comportamento di vita: Guai agli spensierati di Sion … bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l’orgia dei dissoluti” (Am 6,1.4-7). È bene cambiare atteggiamento: convertirsi ed eliminare quell’indifferenza che ferisce il Dio dell’amore e i fratelli che egli ci ha affidato di custodire: “Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda … siate solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell’ospitalità” (Rom 12,10.13). Così, la vita presente è il tempo giusto per operare la nostra conversione e la nostra adesione a Cristo e al suo messaggio di amore. Come ci insegna l’apostolo Paolo: “È ormai tempo di svegliarci dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri” (Rom 13,11-14).